Questa sezione del progetto non prevede esercizi di ascolto. Consiste piuttosto in una serie di approfondimenti teorici che cercano di articolare alcune modalità tramite le quali pensare al suono.
“Per tre miliardi di anni la vita è stata quasi completamente silenziosa, i suoi suoni si limitavano al tremolio delle pareti cellulari e alle correnti vortici intorno agli animali semplici. Ma durante quei lunghi anni di silenzio, l’evoluzione ha costruito una struttura che in seguito avrebbe trasformato i suoni della Terra. Questa innovazione, un minuscolo pelo ondulato sulla membrana cellulare, aiutava le cellule a nuotare, a sterzare e a raccogliere il cibo. Questo pelo, noto come ciglio, sporge nel fluido che circonda la cellula. Molte cellule dispongono di più ciglia, ottenendo una maggiore potenza di nuoto grazie a gruppi o pellicce di peli pulsanti. Il modo in cui le ciglia si sono evolute non è del tutto chiaro, ma è possibile che siano nate come estensioni dell’impalcatura proteica all’interno della cellula. Qualsiasi movimento nell’acqua viene trasmesso all’intreccio di proteine viventi nel nucleo del ciglio e quindi alla cellula. Questa trasmissione è diventata la base della consapevolezza delle onde sonore da parte della vita. Modificando le cariche elettriche nelle membrane e nelle molecole delle cellule, le ciglia traducono i movimenti esterni alla cellula nel linguaggio chimico dell’interno delle cellule. Oggi tutti gli animali usano le cilia per percepire le vibrazioni sonore che li circondano, utilizzando organi uditivi specializzati o ciglia sparse sulla pelle e nel corpo”.
David George Haskell, Suoni Fragili e Selvaggi.
Comunicazione tra Insetti
“La comunicazione vibratoria è molto diffusa nelle interazioni sociali ed ecologiche degli insetti. Tra le specie di insetti che comunicano utilizzando il suono, le increspature della superficie dell’acqua o le vibrazioni del substrato, si stima che il 92% utilizzi le vibrazioni del substrato da sole o con altre forme di segnalazione meccanica. I segnali vibratori differiscono notevolmente dai suoni degli insetti trasportati dall’aria, avendo spesso basse frequenze, toni puri e combinazioni di elementi acustici contrastanti. Le piante sono il substrato più utilizzato per trasmettere segnali vibratori.”
Reginald B. Cocroft, Rafael L. Rodríguez
Gli esseri umani e i mammiferi in generale comunicano principalmente attraverso il suono cosiddetto aereo: con la voce facciamo vibrare le molecole d’aria e le nostre orecchie rilevano queste minuscole variazioni della pressione atmosferica. La maggior parte degli insetti, invece, comunica sollecitando meccanicamente il substrato su cui vive (una foglia, uno stelo d’erba o il terreno) ed è in grado di percepire queste vibrazioni attraverso organi sensoriali presenti nelle articolazioni delle zampe.
Registrare questa comunicazione vibratoria tra artropodi è però molto complesso, perché le vibrazioni prodotte sono minuscole (nell’ordine dei nanometri). Inoltre, i microfoni a contatto (dispositivi posti a diretto contatto con una superficie) hanno una massa maggiore delle fragili strutture a cui sono attaccati.
Sono stati fatti tentativi, con scarso successo, anche appoggiando delle testine di giradischi alle piante…
Più recentemente, l’industria automobilistica e aeronautica ha sviluppato una tecnica sofisticata per rilevare le vibrazioni senza contatto fisico: un laser a bassa intensità viene indirizzato verso un oggetto e un sensore ne riceve il riflesso, misurando in tempo reale la discrepanza tra il fascio di luce iniziale e quello di ritorno. Alcuni biologi hanno iniziato a utilizzare questi dispositivi nelle loro ricerche.
– Ascolta una registrazione che abbiamo realizzato puntando due vibrometri laser su un singolo filo d’erba nel mezzo di un grande prato che abbiamo trovato appena fuori dalla città di Milano. Nella registrazione è presente una quantità sorprendente di attività sonora, per noi insospettabile prima di ascoltare attraverso questi dispositivi molto sofisticati.
Registrato nell’agosto 2024, in collaborazione con Juan Lopez del Dipartimento di Ricerca sugli Organismi e gli Ecosistemi dell’Istituto Nazionale di Biologia della Slovenia.
Time lapse sonoro
Per realizzare il pezzo Air Pressure Fluctuations, l’artista olandese Felix Hess ha posizionato due microfoni all’aperto, nella proprietà di un amico, e ha registrato per cinque giorni e cinque notti di fila. Poi ha riprodotto la registrazione a una velocità 360 volte superiore a quella originale. Di conseguenza, quando si ascolta l’opera finale di 20 minuti, diventa possibile ascoltare il suono delle maree, che muovono grandi masse d’aria sul nostro pianeta.
“Gli infrasuoni, anche se non siamo in grado di sentirli, costituiscono comunque dei veri e propri suoni, succede soltanto che le frequenze siano troppo basse per il nostro apparato uditivo. Ero curioso di sapere cosa sarebbe successo se li avessimo potuti ascoltare semplicemente accelerandoli: se riproduciamo una registrazione a una velocità molto più alta rispetto a quando abbiamo effettualo la registrazione, ogni tono diventa più alto e siamo in grado di sentirlo. Così, mi sono costruito un registratore digitale stereo di infrasuoni con un computer portatile dedicato, una scheda di acquisizione dati disponibile in commercio per scopi scientifici, ho creato un software, ho costruito due microfoni, o sensori di infrasuoni, molto sensibili e ho chiesto ad un amico, che aveva un pezzo di terra molto grande, di poter effettuare delle registrazioni sulla sua proprietà. Lo spazio doveva essere molto grande perché avevo scelto di accelerare il suono di un fattore 360 in modo da renderlo udibile. Ciò significa che un secondo sul CD che ho realizzato era stato registrato in 360 secondi o 6 minuti, e 24 ore di registrazione si riducono a soli 4 minuti di tempo di riproduzione sonora. Per ottenere una buona stereofonia, immagino sappiate come funziona la stereofonia, il suono che raggiunge l’orecchio sinistro è un po’ più forte di quello che raggiunge l’orecchio destro, ma c’è anche una differenza di tempo, per cui se il suono proviene da sinistra arriva prima all’orecchio sinistro e dopo poco a quello destro, e queste piccole differenze di tempo ci fanno capire la direzione di provenienza di un suono. Per ottenere questa sensazione di stereofonia quando si accelera così tanto una registrazione, bisogna posizionare i due microfoni molto distanti tra loro, per l’esattezza 360 volte la distanza tra le nostre orecchie, quindi qualcosa come 65 metri… Ecco perché avevo bisogno di un amico con un grande pezzo di terra. Quello che si può ascoltare quando la registrazione viene accelerata sono una serie di bip, che sono in origine rumori molto gravi di fabbriche o di traffico, si sentono anche dei piccoli ticchettii simili al suono delle foglie in autunno, e questi sono prodotti dall’apertura e chiusura delle porte. In altri casi si sente la lavatrice del vicino, o gli aerei supersonici. A volte è persino possibile sentire l’oceano che danza… Uno specialista dell’Istituto Meteorologico Olandese mi ha informato del fatto che quando si crea una depressione del livello d’acqua sull’oceano, per esempio vicino all’Islanda, questa è in grado di far letteralmente danzare il mare, e questo movimento emette infrasuoni che viaggiano per migliaia di chilometri.”
Trascrizione (traduzione A.Faravelli) da AV Festival 10: Felix Hess.
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Aghi di Pino
Per diversi anni, l’artista sonoro Max Neuhaus è rimasto affascinato dal suono delle foreste di pini mosse dal vento, in particolare dal fatto che la loro unica fonte sonora - due aghi di pino che si sfregano - è inaudibile. Diventa udibile solo se moltiplicata per milioni di aghi di pino che si sfregano tra loro. L’idea di una quantità enorme di minuscole fonti sonore, ognuna leggermente diversa dall’altra, che sommate producono una trama sonora straordinariamente ricca, omogenea e sottile, ci sembra costituire un’indicazione di ascolto interessante per approcciare fenomeni organici e complessi come una foresta o la pioggia.
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Pioggia
Pioggia (in frandese la pluie) è una poesia di Francis Ponge (1899-1988), autore che notoriamente ha dedicato la sua carriera a scrivere poesie sui fatti e sulle cose che incontriamo comunemente nella vita di tutti i giorni. La leggiamo spesso durante i nostri laboratori come esempio di quanto un evento ordinario possa essere ricco di sfumature percettive. In quanto attivatore acustico degli spazi, la pioggia presenta una fonte quasi inesauribile di dettagli sonori, ma solo se gli prestiamo davvero attenzione.
“La pioggia, nel cortile dove la guardo cadere, scende con andature assai diverse. Al centro è un sipario sottile (o reticolato) discontinuo, una caduta implacabile ma relativamente lenta di gocce probabilmente molto lievi, un precipitare sempiterno senza vigore, una frazione intensa della meteora pura. A poca distanza dai muri di destra e di sinistra cadono con maggior rumore gocce piú pesanti, individuate. Qui sembrano della grandezza di un chicco di grano, lí di un pisello, altrove quasi di una biglia. Sui listelli di ferro, sui davanzali delle finestre, la pioggia corre orizzontalmente, mentre sulla faccia inferiore degli stessi ostacoli si sospende in rombi convessi. Seguendo l’interna superficie di una tettoia di zinco che lo sguardo sovrasta, cola in strato sottilissimo, marezzato dalle correnti variate a seconda delle impercettibili ondulazioni e sporgenze della copertura.
Dalla grondaia attigua dove scorre con la contenzione di un ruscello infossato senza forte pendio, cade di colpo in un filo perfettamente verticale, grossolanamente intrecciato, fino al suolo dove si rompe e rimbalza in aghetti brillanti.Ogni sua forma ha un andamento particolare; a ognuna corrisponde un rumore particolare. Il tutto vive con intensità come un meccanismo complicato, preciso quanto arrischiato, come un movimento a orologeria la cui molla è il peso di una data massa di vapore in precipitazione.
La suoneria a terra delle reti verticali, il glúglú delle grondaie, i minuscoli colpi di gong, si moltiplicano e risuonano assiemein un concerto senza monotonia, non senza delicatezza.
Allora, se il sole riappare tutto si cancella rapidamente, evapora il brillante apparecchio: è piovuto.”
Francis Ponge, da Il partito preso delle cose (Einaudi, Torino, 1979)
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La danza dell'attenzione
“C’era pochissima differenza di significato”, dice l’autistica Daina Krumins, ”tra i bambini con cui stavo giocando vicino al lago e la tartaruga seduta sul tronco. Sembra”, continua, ‘che quando la maggior parte delle persone pensa che qualcosa sia vivo, in realtà intende umano’ (citato in Miller 2003, 23-89).
[…] “Sento le rocce e gli alberi” (Mukhopadhyay in Miller 2003, 54).
Per il ricercatore sull’autismo Simon Baron-Cohen, sentire le rocce e gli alberi al pari delle voci dei bambini è un segno di ciò che egli chiama “cecità mentale”. La cecità mentale è generalmente definita come l’incapacità di sviluppare una consapevolezza di ciò che si trova nella mente di un altro essere umano. Secondo Baron-Cohen, avere una cecità mentale significa mancare di empatia. Significa essere generalmente non relazionali. Afferma che questo è ciò che definisce gli autistici (1995). Eppure, dall’autistico non sentiamo né un rifiuto dell’umano, né un allontanamento dalla relazione. Quello che sentiamo è un coinvolgimento con il più-che- umano: “Partecipo a tutto allo stesso modo, senza discriminazioni, così che il gracchiare del corvo sull’albero è chiaro e importante quanto la voce della persona con cui sto camminando” (Krumins in Miller 2003, 86). […]
“Il mio mondo è organizzato intorno alle texture. […]
Tutte le emozioni, le percezioni, il mio intero mondo […] [è] stato influenzato dalle texture” (Krumins in Miller 2003, 87).
Sperimentare la texture del mondo “senza discriminazione” non è indifferenza. La texture è strutturata, piena di contrasti e di movimento, di gradienti e di transizioni. È complessa e differenziata. Assistere a tutto “allo stesso modo” non è una disattenzione alla vita. È prestare la stessa attenzione all’intera gamma della complessità della tessitura della vita, con un impegno incantato e non riduttivo al modo in cui l’organico e l’inorganico, il colore, il suono, l’odore e il ritmo, la percezione e l’emozione, si intrecciano intensamente nell’“intorno” di un mondo ricco di sfumature e di differenze. Significa sperimentare la pienezza di una danza dell’attenzione. Nonostante tutte le difficili sfide dell’autismo, questo aspetto non è privo di gioia. […]
“Tutto [è] in qualche modo vivo per me”
(Krumins in Miller 2003, 86).
“La felicità per me era l’immediatezza dell’ambiente” (Mukhopadhyay in Iversen 2006, 104).
Da Thought in the act, passages in the ecology of experience, di Erin Manning and Brian Massumi.
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Spaces Speak
Quello che segue è un estratto da un libro molto utile per capire le relazioni che intercorrono tra suono, spazio e corpo, Spaces Speak, are you listening, di Berry Blesser and Linda-Ruth Salter. Nel passaggio che riportiamo viene discusso il legame tra il nostro modo di percepire il suono e i processi evolutivi che l’hanno scolpito nel corso dei millenni. Ad esempio, gli autori affermano che la nostra capacità di distinguere tra un suono e la sua riflessione sonora da parte dell’ambiente è informata dal tempo medio di riverberazione delle foreste. Inoltre, viene descritta la differenza sostanziale tra il suono negli spazi chiusi, più statico e fermo, e negli spazi aperti, più dinamico e ricco di sfumature timbriche.
“Partendo dal presupposto che la nostra corteccia uditiva si è evoluta per gestire l’acustica di foreste, giungle e savane, ora stiamo utilizzando vecchie soluzioni evolutive per ascoltare nuovi spazi. Non c’è esempio migliore del modo in cui percepiamo il riverbero a livello uditivo. Cosa significa ascoltare una sala da concerto con le orecchie progettate per una foresta? Caratterizzato da un’alta densità di riflessioni sonore di basso livello da parte di superfici tipicamente presenti nell’ambiente quali tronchi d’albero, rami e foglie, il riverbero della foresta ha una durata generalmente limitata a circa 200 millisecondi, rispetto ai molti secondi dei grandi spazi chiusi. Quando abbiamo analizzato la percezione del riverbero di una sala da concerto, abbiamo osservato che le prime riflessioni sonore si fondono con il suono diretto, mentre quelle successive formano un riverbero sostenuto e avvolgente. Il confine tra questi due aspetti del riverbero è dello stesso ordine di grandezza della durata del riverbero della foresta, circa 100 millisecondi. Ascoltiamo il primo riverbero di uno spazio chiuso con substrati cerebrali che si sono evoluti per il riverbero della foresta. L’adattamento di fondere le prime riflessioni sonore in un’unica sorgente percepita sarebbe stato utile ai nostri primi antenati. Inoltre, quella che oggi chiamiamo “ampiezza apparente della sorgente”, che è una proprietà della riverberazione vicina, sembra non essere altro che una consapevolezza uditiva della degradazione del suono da parte dell’acustica della foresta. A parte le caverne, non è mai esistita una controparte storica di uno spazio chiuso in grado di diffondere l’energia sonora per una lunga durata, quella che chiamiamo “riverberazione lunga”. Inoltre, i primi esseri umani non hanno fatto delle caverne il loro habitat naturale. Allo stesso modo, ad eccezione di un’occasionale scogliera o di un ripido terrapieno, non esisteva un meccanismo per creare una riflessione sonora con un ritardo sufficiente da poter essere udita come un’eco separato, un evento sonoro indipendente dal suono che lo ha produtto. Foreste, giungle e savane non producono eco. Dal punto di vista della sopravvivenza, sarebbe stato fondamentale per un essere umano primitivo distinguere tra un singolo evento con più riflessioni sonore e più eventi sonori provenienti da fonti diverse. Non sorprende quindi che il suono che arriva ben oltre il cosiddetto ‘intervallo di fusione’ venga percepito come distinto dal suono diretto, sia come eco coerente sia come riverbero diffuso. Entrambi sono percepiti come se provenissero da fonti diverse, anche se noi, come esseri umani moderni, sappiamo che l’acustica spaziale crea il secondo evento dal primo. Il collegamento del riverbero con il suono diretto è cognitivo piuttosto che percettivo.
Un’altra differenza tra l’acustica degli ambienti interni e quella degli ambienti esterni è il grado di staticità della trasmissione sonora, senza cambiamenti nel tempo. Anche in grandi spazi chiusi, come una cattedrale, l’aria è relativamente stabile e omogenea, almeno rispetto agli ambienti naturali. Il nostro apparato uditivo si aspetta di sentire le variazioni timbriche e temporali prodotte dall’aria turbolenta, dal cambiamento degli strati termici e dalle superfici degli oggetti in movimento. Anche le vocalizzazioni degli animali contengono variazioni simili. Anche senza l’acustica, le fonti sonore non sono mai state timbricamente pure, perfettamente periodiche o ripetibili in modo affidabile. La necessità di tali variazioni, per ottenere un suono naturale e gradevole, è esemplificata dalla tradizione musicale del vibrato e del tremolo, cambiamenti espliciti dell’altezza e dell’ampiezza. Ma lo stesso vale per l’acustica spaziale. Il nostro apparato uditivo è progettato dall’evoluzione con l’aspettativa di una variabilità nella percezione dello spazio.[…] Oltre a segmentare il suono in eventi sonori discreti, in quasi tutti i mammiferi esiste la capacità di localizzare acusticamente la fonte di un singolo suono. È facile capire perché la localizzazione sia utile. Dove si trovano le prede o i predatori e quale strada conduce al cibo o alla sicurezza? Molte parti della corteccia uditiva e le percezioni uditive che ne derivano sono del tutto coerenti con la necessità di localizzazione uditiva. La componente affettiva della localizzazione uditiva, che contribuisce alla conoscenza della posizione del mittente, è separata e indipendente dalla componente affettiva del suono diretto, che contribuisce alla conoscenza del messaggio e dello stato emotivo del mittente. Se la localizzazione uditiva di suoni importanti è così critica per la sopravvivenza, possiamo ipotizzare che l’incapacità di localizzazione uditiva renda un animale in allerta, a disagio e forse addirittura ansioso. Questo sarebbe il caso del riverbero diffuso, in cui le riflessioni sonore prive di una forte componente diretta arrivano da tutte le direzioni. Per localizzare una sorgente sonora, la corteccia uditiva sopprime le informazioni irrilevanti delle prime riflessioni sonore, mentre estrae la differenza di tempo e ampiezza del suono diretto, che arriva prima delle riflessioni. Gli scienziati percettivi e neurologici, che da anni studiano questa capacità, la chiamano “effetto di precedenza”, mentre gli ingegneri audio, che la utilizzano nella progettazione di sistemi di amplificazione per il pubblico, la conoscono come “effetto Haas”. Nella sua forma più semplice, la localizzazione del suono diretto rimane stabile anche quando è seguita da una singola riflessione sonora discreta nella finestra temporale che va da 2 a 20 millisecondi dopo il suono diretto. Poiché questo effetto è robusto, stabile e coerente in tutta la popolazione, invita a una spiegazione evolutiva. La fusione dei numerosi riflessi sonori precoci in una finestra temporale di 100 millisecondi è coerente con il riverbero della foresta. Qual è l’analogia con un unico forte riflesso sonoro in una finestra temporale di 20 millisecondi? L’unica superficie piatta e dura che potrebbe produrre una forte riflessione sonora speculare è il suolo, e il ritardo tra il suono diretto e la riflessione sonora dal suolo è nell’ordine dei 5 millisecondi per un primate in piedi a una distanza modesta; per i primati che vivono sugli alberi, il ritardo sarebbe significativamente più lungo. Una singola riflessione sonora dal suolo è una proprietà universale di tutti gli spazi che esistevano per gli animali sia antichi che moderni. Nel mondo contemporaneo esperiamo ancora gli spazi acustici in modo coerente con l’eredità ricevuta dai nostri primi antenati nei loro ambienti preistorici. Gli scienziati possono osservare alcuni aspetti di questa eredità acustica nei loro laboratori; i compositori ne incorporano alcuni aspetti nelle loro creazioni musicali; gli architetti acustici ne incorporano alcuni aspetti nei loro progetti; e gli ascoltatori ne sentono alcuni aspetti quando assistono a un concerto o conversano nei loro salotti.”
Da Spaces speak, are you listening, di Berry Blesser and Linda-Ruth Salter (traduzione dall’Inglese nostra)
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